Eretico siriano. Fu vescovo di Antiochia a partire dal 260, carica cui giunse
anche in forza della sua autorevolezza come funzionario della regina Zenobia di
Palmira. La sua opera pastorale suscitò malcontento sia sul piano morale
sia su quello dottrinale, anche se non sono da escludere in tale generale
disapprovazione motivazioni politiche. Già nel 264 Eleno di Tarso e
Firmiliano di Cesarea di Cappadocia, vescovi di diocesi vicine, si erano recati
ad Antiochia per condurre un'inchiesta sul comportamento di
P., ritenuto
amante del fasto mondano, ma soprattutto accusato di aver proibito l'esecuzione
di inni liturgici rivolti a Gesù Cristo. Egli, grazie alla sua
abilità dialettica, si discolpò, promise di emendarsi e
accettò di sottoscrivere una dichiarazione di fede ortodossa. Dal momento
che il suo comportamento e le sue affermazioni non mutarono neanche in seguito,
tutti i vescovi della regione si riunirono in un sinodo nel 268, per dirimere la
questione e convincere
P. del suo errore. La dottrina di
P.,
benché non ci sia nota nei particolari, peccava rispetto all'ortodossia
dal punto di vista trinitario (poiché affermava, secondo una visione
monarchiana, la rigida unità di Dio sia nella natura sia nella persona) e
da quello cristologico (considerando Gesù come un semplice uomo, nato da
Maria Vergine, in cui la Sapienza di Dio - il Verbo - aveva abitato, come
già nei profeti biblici, pur essendo Gesù superiore ad essi). Tali
proposizioni anticipavano, per certi versi, eresie più tarde come la
nestoriana e l'adozionista. Lo scontro verbale, durante l'inchiesta sinodale,
fra
P. e il prete Malchione ebbe come esito la scomunica e la deposizione
dal seggio episcopale del primo, anche se egli, appoggiato dalla regina,
rifiutò di obbedire. A ciò fu costretto solo nel 272, quando
l'imperatore Aureliano giunse ad Antiochia e ordinò che la sede fosse
lasciata libera per il prescelto dal vescovo d'Italia e di Roma (atto che
costituì uno dei primi esempi di commistione amministrativa tra Impero e
Chiesa, potere secolare ed ecclesiastico).
P. fu sostenuto da una
comunità di seguaci che, anche dopo la sua morte, continuarono a
professare le tesi
paolianiste fino al IV sec. (Samosata 200 circa - ?
273).